Maria Villano


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"Un esercito di teste dal collo allungato, occupa in questi giorni i locali della galleria Eva Menzio. Sono le sculture di Maria Villano, una giovane artista romana che presenta a Torino la sua prima personale, intitolata "Testa o croce".
Con un gioco di parole, preso a prestito dal titolo della sua opera più recente, una testa che assume la forma di una croce, la Villano scommette - come dice lei stessa - sull'evoluzione formale del suo lavoro che, al momento, si rivela promettente. Le opere sono una ventina, realizzate tutte dal 1987 in poi. Oltre alle teste, risaltano in galleria due sculture a tutto tondo, alte all'incirca m.1,60, e due bassorilievi.
La Villano modella con il gesso che poi dipinge con colori acrilici chiari e vivaci. Le teste, dipinte di giallo, verde, blu e arancione, sono sistemate su alti piedistalli. Prive di volto, si differenziano una dall'altra per forma e colore. Alcune sembrano simboli fallici, come quelli che greci e romani portavano in processione in onore al re Priapo, ma il riferimento, forse è solo casuale. Ce n'è una bifronte, non a caso chiamata " Gianola".
A Formia, città natale della Villano, esiste un tempio romano dedicato alla divinità dai due volti, a cui l'artista si ispira, dandone un'interpretazione personale e moderna. Il Giano in mostra è l'unione tra un pilota spaziale e un saggio orientale, simbolo l'uno di una proiezione verso il futuro, l'altro di antiche e profonde filosofie. Compaiono anche una "
Testa di cuore" tra il romantico e l'ironico, una "Testa di moro" e altre con nomi
come "
Procopio" o "Elia", che ricordano i soldati medievali con la cotta di maglia. Le statue, al contrario, sono tronchi senza testa; geometriche e stilizzate, lasciano trasparire elementi antropomorfi. La più sinuosa è una figura di donna, l'altra, più spigolosa, di uomo. Sono entrambe in gesso armato, vuote dentro e, oltre che a uno studio formale, compare in esse una ricerca di equilibrio tra spazi interni e esterni. I due bassorilievi, appesi alle pareti della prima e dell'ultima sala, sembrano maschere spaziali, quelle dei film di fantascienza tipo "Guerre stellari", per intenderci.
La Villano si sente attratta da un accattivante "fanta-passato". Nelle sue opere c'è una ricerca di ordine e rigore, e non mancano riferimenti formali al Costruttivismo e al Funzionalismo. "
Mi sento tutta nella tradizione - ci dice la Villano - la mia è una ricerca di sintesi a chiusura di secolo". L'essenzialità di alcuni suoi lavori, la purezza delle linee, la leggerezza dei colori, hanno anche una matrice che risale fino ai tempi lontani della scultura arcaica.

Elisabetta Tolosano, La Stampa (Torino Sette) 28/10/1988


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" Il silenzio che si impone di fronte a forme ieratiche sembra essere la cornice spaziale dei lavori di Maria Villano. Una particolare forma di purezza, di verginità plastica scorre come un liquido sulle lisce superfici delle sue sculture. Senza alcuna incertezza, ma con oculata esattezza, per mezzo della accurata carezza, che plasma le forme: l'oggetto- opera non è più tale, sembra immobile, fermamente ancorato nella vastità dello spazio, da cui proviene. La mano dell' artista l'ha fissato in modo tale che sembra non doversi più muovere, anche se scosso. La sua definizione è totale, ormai è protetto da ogni intervento del caso, fatto uscire dal limbo in cui vagano le opere, consegnato allo spazio e al tempo, la sua durata ci prevaricherà e in qualche modo ci testimonia al futuro."

Barbara Tosi, Presentazione della mostra "Indisciplina", Palazzo dei Capitani Ascoli Piceno.1989


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"Uno spazio immobile e carico di enigma è quello della scultura di Maria Villano. La sua declinazione classica di volume pieno, corpo sensuale, e forma silenziosa, è portatrice di vastità extragalattica, dalla superficie liscia e accesa da cui emana un'assertiva, fallica cecità. Dalle limitrofie della scultura con la pittura, nel ventaglio della contaminazione, ci dirigiamo verso la specificità di quest'ultima."
"Forme enigmatiche che rimandano a un'idea di classicità, fuori dello spazio e del tempo, nell'essenzialità del volume, della purezza formale nell'evidente nitore di una massa piena dove il colore si accorpa al volume, modellato in totale assenza di emozionalità. L'opera è un oggetto solitario, una presenza unitaria e autonoma, chiusa nella propria ieratica e lontana siderale bellezza, che sovrasta lo spazio nel quale abita".


Patrizia Ferri, "Flash Art Speciale Arte Giovane", n. 158. 1990


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"Se modulare equivale a modellare in modo continuo e permanente, l'oggetto diviene evento e può mostrare la parte invisibile di sé. Una delle questioni della nostra contemporaneità è il passaggio critico da referenze a modelli (standard), ad un concetto di modulazione. La flessibilità progettuale che esso comporta risolve le proprie finalità in momenti successivi attraverso fluttuazioni della "norma" e delle "norme". Il nuovo statuto dell'oggetto coinvolge e va oltre il rapporto forma/materia, verso una modulazione temporale in cui lo spazio non è più definibile da un vettore rettilineo ma da un intervallo, da una relazione, da una -piega-, che a sua volta ne genera un'altra ( e così all'infinito). All'interno di questa ricerca si situa il lavoro di Maria Villano, svolto sul concetto di soglia (percettiva e simbolica), che il concetto di -piega- comporta relativamente a mutamenti dei rapporti spazio-temporali.
Artisti della sua generazione hanno sfiorato parte degli anni '70, assimilandone il senso di passaggio e chiusa epocale; questo ha permesso loro di osservarne i limiti e la ricchezza come humus culturale ed esperienze trasversali. Lontana da atteggiamenti trasgressivi-che implicano un riconoscimento della norma- il suo rapporto con la tradizione è recuperato come distanza critica verso quelle coordinate che hanno improntato lo sviluppo della civiltà e della cultura occidentale. La poetica metafisica è presente nei suoi lavori, come ulteriore rimarca tura di una crisi della modernità che non può rifugiarsi in facili ritorni alla natura, né in manierismi accademici. Le domande sono riferite al Soggetto che ha elaborato alcune categorie fondanti la nostra Modernità e comportano la rimessa in discussione del rapporto Soggetto/Oggetto e lo stesso ripensamento dell'Altro, come luogo "proprio" di differenza.
La distanza metodologica si traduce ulteriormente, nel suo lavoro, nello sfuggire alla norma della pittura e della scultura e al senso che storicamente è stato dato a queste discipline. Se da una parte è dissacratoria - verso alcune funzioni totemiche e rituali di esse- quello che ne viene rivelato e dissacrato è la proiezione immaginifica e simbolica che spesso la sottende; ciò che è Tabù è esplicitato non come atto trasgressivo ma con distanza ironica di chi osserva e sa che il proprio luogo è "altrove", non dove e come è stato sempre declinato. Se tutto nella società delle immagini è oscenamente rappresentato, svelarne l'ostentazione diviene sottrarsi ad essa. Lavorare su alcune tematiche che implicano la relazione non solo tra vuoto e pieno, , come impossibilità di delimitare la fluttuazione e il passaggio, significa aprire un varco verso un atto di riflessione sul senso dello stesso Soggetto fondante.
L'artista nei suoi lavori opera una sottrazione non solo al pieno -inteso come volume, limite rigido tra interno/esterno- ma anche al pieno di senso, alla funzione che la forma ha nella scultura; percepibile è la sospensione come silenzio, "estraneità " metafisica. Questa, non più esplicitata, è presupposta come punto di partenza.
La "piega" si svolge e si avvolge, ma il suo inizio è nell'anima: il microcosmo è solo, semplicemente, contenuto e forma del macrocosmo.


Gabriella Dalesio, Presentazione della mostra "Totem e …Tabù", galleria Mara Coccia, Roma 1990

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